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La roccia bianca e il cielo - Lorenzo Ferri

Perché non riesco a immaginare la roccia bianca delle Dolomiti senza metterla in contrasto con l’azzurro chiaro del cielo? È lo stesso contrasto che c’è tra lo scoglio semisommerso e il sottile strato d’acqua quasi trasparente che lo separa dal vento.

Tutte le volte che ho incontrato una corrispondenza del genere mi sono sentito obbligato a fermarmi, rapito da una sensazione che non riesco a spiegare, ma che ognuno di noi può riconoscere e comprendere immediatamente. È una sensazione di ammirazione quasi sacrale che unisce tutti gli esseri umani e lega tra loro quelle manifestazioni della natura capaci di provocarla. E non si tratta di quella “unità profonda e tenebrosa” che la sensibilità di Baudelaire coglieva in tutto il reale, no. Quando mi accorgo di essere al cospetto della Bellezza non provo angoscia e sgomento, ma stupore e meraviglia. E lo stupore genera domande: così nacque la filosofia secondo Platone e Aristotele. Porta a domandarsi da dove provenga tale sensazione carica di mistero.

Quando osservo il profilo scosceso di una montagna mi sento sereno e “pieno”, ma allo stesso tempo avverto un’alterità insuperabile. Quando incontro la Bellezza sono teso verso qualcosa che non riesco a comprendere, qualcosa che si scontra con la limitatezza del mondo materiale davanti a cui l’uomo non può che fermarsi per un attimo e assaporare questa sensazione indescrivibile a parole. Quando Dante sta per giungere al cospetto di Dio, nell’Empireo, si volge un’ultima volta verso Beatrice e si accorge che il loro rapporto è cambiato: tempo prima, il poeta ancora stilnovistico cantava di lei il fascino sensuale. Adesso invece capisce che la sua bellezza è anche eticità, è l’elemento sublimato che dalla realtà della creatura conduce al Cielo. Nella Bellezza l’eternità dell’universale si svela all’uomo imperfetto. Anche Leopardi attribuisce alla bellezza il ruolo di “viatrice”, di guida felice nella disperazione della vita umana; tuttavia forse tale bellezza è esistita in un’età dell’oro passata, o forse deve ancora venire, o forse è un’idea platonica lontana dalla realtà, o forse appartiene a un altro mondo. Per il poeta dell’Infinito essa è irraggiungibile nel presente, ma Alla sua donna è anche l’unica lirica a concludersi con una timida nota di fiducia: almeno possa, la bellezza, ricevere “questo d’ignoto amante inno”.

Se dunque anche in chi apparentemente manca del senso religioso la bellezza suscita nostalgia struggente d’infinito e di speranza allora dobbiamo davvero cercare di metterci in ascolto di questa melodia misteriosa. Essa ci estrania per un attimo dal mondo circostante e appena il momento svanisce rimaniamo con l’amaro in bocca, perché ci accorgiamo che si è trattato solo di un istante, e che la nostra vita quotidiana non è così. Per un attimo vediamo con chiarezza ciò che dovrebbe essere, ma poi ci scontriamo con ciò che effettivamente è.

Ci accorgiamo che c’è poco spazio per la bellezza: siamo sempre frenetici, abbiamo una lista di obiettivi da perseguire uno dopo l’altro con ferrea efficienza. Il tempo deve essere occupato da un’attività utile e produttiva, altrimenti è sprecato. Soffermarsi a riflettere sulla condizione esistenziale è superfluo, allontana dagli scopi pratici raggiungibili tramite attenta pianificazione. Abbiamo interiorizzato tanto profondamente questi imperativi che oggi, costretti in casa dalla pandemia, rimaniamo disorientati. La “gabbia d’acciaio della razionalità” di Weber è divenuta un sarcofago.

Il nostro destino è allora trasformarci necessariamente in esseri freddi, distaccati, sordi e insensibili alla bellezza? Non penso. Dopotutto la stagione di condizione esistenziale di assenza di valori universali, avvertita con tanto acume dalla letteratura novecentesca, non è certo cominciata con la corrente decadentista. Già agli inizi del Seicento il don Chisciotte di Cervantes era alienato rispetto all’apatia morale della sua società e pertanto si rifugiava nelle antiche virtù cavalleresche dei romanzi. Come ci racconterebbe Pirandello, in alcuni momento storici ci sono state filosofie in


grado di dare senso alla vita, ma oggi ne siamo sprovvisti. Alla fede medievale si sono susseguiti l’umanesimo rinascimentale, poi l’illuminismo rivoluzionario e il positivismo razionalistico, intervallati da momenti di profonda crisi valoriale, come il decadentismo stesso.

Ma in questo continuo cambiamento c’è qualcosa che è rimasto costante. Quando mi nutro della vista delle montagne non sono solo. Con me ci sono tutti gli uomini di tutte le epoche storiche che come me si sono lasciati ispirare da quella roccia bianca. E anche se la malattia ci ha allontanati provvisoriamente dalle montagne e dal mare, ci rimane il cielo azzurro che dalla finestra ci spinge a sognare. La Bellezza incanta l’uomo per un attimo e poi lo spinge ad agire per far cambiare il mondo in meglio. Che cosa costituisce la serenità delle Madonne di Raffaello se non il tentativo di fissare in forma materica la bellezza suscitata dall’infinito, cioè lo sforzo di trasformare la realtà inseguendo l’ombra di un oltre percepito per un istante e mai più dimenticato, quell’inestinguibile anelito al bello che per Adorno sta all’origine dell’arte? Secondo me il motore invisibile che spinge l’uomo oltre sé stesso è proprio la Bellezza.

Forse è per questo che il principe Miškin di Dostoevskij afferma con forza: “La bellezza salverà il mondo”. È vero: lo ha sempre fatto!



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