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La montagna, maestra e rivale - Il racconto di Utah

In questi giorni di follia dovuta al coronavirus l’unica cosa a cui riesco a pensare è la nostalgia delle levatacce per godersi il sole sorgere, dell’adrenalina che scorre nelle vene e del silenzio interrotto solamente dal fruscio del vento. Spesso mi trovo a riflettere sul significato delle esperienze nella natura, di cosa sia giusto e sbagliato e se ci sia un univoco modo di interpretare la visione che ognuno ha, in particolar modo verso l’idea di montagna. Dopo anni di avventure ho constatato che questo senso di indeterminatezza esisterà sempre e che la risposta al quesito “giusto o sbagliato?” nel maggior parte dei casi non esiste. Durante il proprio personale processo di maturazione si arriva innegabilmente a costruire le proprie idee e la propria personalità. Nel mio caso ciò che ne è venuto fuori è qualcosa di complesso e strano. Per gli amanti del confronto potrebbe essere carino darci un’occhiata, dunque eccomi qui.

I miei genitori hanno subito iniziato a portarmi con loro durante le escursioni domenicali fin dalla tenera età e come per ogni bambino che si rispetti non sono mai mancati piagnistei, deliri, arrabbiature e frasi come “Non potevano costruire un teletrasporto?”. Sì, perché quando si è piccoli l’unica cosa che si riesce a cogliere è la fatica che si deve impiegare per raggiungere qualunque tipo di obbiettivo. Si è arrabbiati per quella fatica, nemmeno il panorama mozzafiato di cui si gode quando si arriva in cima riesce a smorzare la rabbia. Crescendo si capisce poi che la fatica è alla base di tutto e si comincia quindi a comprenderne il senso fino ad apprezzare ogni goccia di sudore che il nostro corpo traspira sotto il Sole cocente. Questo fa si che la mente sia pronta ad accogliere nuovi stimoli esterni per far nascere una passione.

Quelli che prima erano impegno e sgobbare erano (e sono tutt’ora) diventati per me gioia e bellezza. Camminare in montagna ti lascia il tempo di riflettere su ogni cosa e di spaziare col pensiero senza alcun tipo di confine. Si ha la possibilità di togliersi la maschera che si indossa quotidianamente durante la propria vita frenetica e di trasformare fragilità ed incertezze in veri e propri punti di forza che eventuali compagni d’avventura possono aiutarti a comprendere; nessuno ti giudicherà. I ricordi indelebili saranno momenti passati attorno al fuoco a cantare o il sorriso di uno sconosciuto che ti fornisce l’energia per fare qualche passo in più. Arrivi dunque a capire che puoi amare la vita attraverso la fatica e che ciò equivale a penetrarne il segreto più profondo. E’ una scelta di vita.

Dove sta dunque la complessità e la stranezza? In un secondo momento della mia adolescenza ho scoperto cosa significa portare all’estremo un concetto e le proprie capacità attraverso lo sport (dalla bici allo sci nell’ambito del freeride e freestyle). Nasce una competizione con la montagna, la sfidi pur mostrandole il rispetto che merita; lei ha sempre l’ultima parola e ogni tanto tende a rinfrescarci la memoria a riguardo. Scopri i tuoi limiti e li metti alla prova pur sapendo i rischi che corri e cosciente del fatto che potresti compromettere la tua vita per sempre. La sfida più grande rimane trovare il giusto equilibrio tra paura e adrenalina: un po’ di fifa ti riporta a casa, troppa o troppo poca ti portano a sbagliare. L’adrenalina diventa una droga di cui si ha bisogno e che va tenuta sotto controllo come la paura.

Ma tutto questo che senso ha? Nell’istante in cui capisci di aver raggiunto il tuo obiettivo uno strano calore e una strana eccitazione sotto forma di brivido risalgono lungo la schiena fino alla testa. In quell’attimo tutto scompare: problemi, ansia e paure lasciano il posto ad un adrenalinico senso di libertà. E’ il mix perfetto di bellezza ed egoismo; ti giri a guardare la montagna e ti senti in sintonia con essa, come se tutto avesse sempre avuto senso. Il confine col mancare di rispetto è veramente sottile, non deve esistere rivalità tra altri uomini e te, ma solo fra te e la montagna. Nell’alpinismo estremo e nelle scalate d’alta quota i concetti son più o meno gli stessi: è molto più arduo prendere la decisione di girarsi e tornare a valle in caso di condizioni avverse rispetto al “semplice” continuare a faticare e andare avanti. E ogni volta che parti non ti fai domande, lo fai e basta perché senti che vuoi farlo.

Non so spiegare il motivo, ma tutte queste esperienze, a partire dall’uscita che fai durante l’ora buca nel bosco dietro casa fino ad arrivare a quella più pericolosa in quota rendono la vita completa e donano valore a ogni momento trascorso, persino a quelli più noiosi della quotidianità.


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